La contaminazione microbiologica delle superfici nelle industrie alimentari. Le superfici di lavoro nel settore alimentare, sono potenziali substrati favorevoli allo sviluppo di carica microbica, a causa degli elementi nutritivi che derivano dai residui delle lavorazioni alimentari. Tale flora microbica, può essere veicolata per mezzo dell’aria e dell’acqua, da parte del personale addetto alla manipolazione degli alimenti, o per contatto diretto con il prodotto.
Per queste ragioni, in ogni azienda alimentare, deve essere verificata l’efficacia dei processi di sanificazione, per mezzo di tecniche microbiologiche accreditate, VAI ALLA SEZIONE ANALISI ALIMENTI E SUPRFICI > che impieghino piastre a contatto o tamponi di superficie, (Dossier Igiene della Biolife Italiana, 2009). Silverman et al., ritengono che per gli ambienti di lavoro destinati alla manipolazione degli alimenti, sia accettabile una conta < 150 UFC/piastra, (inferiore a 150 unità formanti colonie per ogni piastra).
Altri studi dimostrano che per le superfici di lavorazione degli alimenti, siano sufficienti risultati che mantengano la carica batterica mesofila al di sotto di 10 UFC/cm2, con una presenza di coliformi totali ≤ 1 UFC/cm2 e l’assenza di Salmonella (legge 30/04/62 n. 283) e di Listeria Monocytogenes, (regolamento CE n. 2073/2005), su superfici e attrezzature sanificati. Valori identici sono menzionati anche da Osimani et al. (2014) per la carica batterica totale e i coliformi nei piani di campionamento stabiliti nei manuali H.A.C.C.P. della ristorazione collettiva.
Souliotis et al., propone uno standard igienico di riferimento per le superfici delle macellerie dei supermercati, ≤ 4 UFC/cm2, ritenendo altresì “accettabile” un valore compreso nel range 4 – 12 UFC/cm2 e “insoddisfacente” un valore superiore a 12 UFC/cm2. I microrganismi indicatori del livello di igiene, sono sia i Coliformi Totali che l’Escherichia Coli, ritenendo critico qualsiasi valore di concentrazione uguale o al di sopra di 1 UFC/cm2. Lo stesso valore di 4 UFC/cm2, viene menzionato per le superfici di lavorazione nei catering, ma minore, ovvero di 1 UFC/cm2 per gli utensili a diretto contatto con gli alimenti, (Garayoa et al., 2014). Nella “Guide Du Bionettoyage, Commission Centrale Des Marchés (1990)”, gli ambienti in cui sono manipolati gli alimenti destinati ad essere consumati cotti, sono classificati in settori, a ognuno dei quali vengono attribuiti diversi limiti di concentrazione, compresi tra 0,2 e 5 UFC/cm2. Uno studio del 2014 di Azizkhan, ha misurato il livello di contaminazione ambientale nelle industrie alimentari, attraverso l’impiego di tamponi di superficie e ATP bioluminescenza, al fine di verificare una correlazione tra i due metodi.
Nello studio di Azizkhan, sono state campionate superfici a contatto con gli alimenti (impastatrici, taglieri, spremiagrumi, utensili e piani di lavoro in marmo di un laboratorio di pasticceria). Prima dei processi di sanificazione dei locali, i campioni evidenziavano livelli elevati di contaminazione microbica, i quali si riducevano significativamente dopo la pulizia. Prima della sanificazione, il coefficiente di correlazione (R) tra le due metodiche di campionamento, risultava molto basso, mentre dopo la fase di pulizia e sanificazione il valore di R era altissimo. Secondo l’autore, ciò era riconducibile alle differenze tra i due metodi di campionamento: mentre l’uso dei tamponi di superficie e la successiva messa in coltura a 30 °C dei campioni rileva soltanto la presenza di microrganismi vitali, il metodo ATP bioluminescenza rileva anche la presenza di residui organici di alimenti sulle superfici. l’ATP bioluminescenza può, pertanto, essere un valido indicatore per monitorare il livello di igiene delle superfici delle industrie alimentari.
Fonte: INAIL LA CONTAMINAZIONE MICROBIOLOGICA DELLE SUPERFICI NEGLI AMBIENTI LAVORATIVI.